I grandi progressi della nuova Noto - I.S.V.N.A. - dal 1970 al servizio della cultura netina

Istituto per lo Studio e la Valorizzazione di Noto e delle sue Antichità
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I grandi progressi della nuova Noto
a 50 anni dal terremoto del 1693
 

    Partiamo dall’inizio, dalla tragica domenica 11 gennaio 1693.
    Poco dopo le 2 del pomeriggio la splendida antica Noto, che conosciamo attraverso il Panorama di fine Seicento, viene completamente distrutta da un terremoto dell’11° grado Mercalli.
    Aveva una popolazione, come ci informa il P. Filippo Tortora, di 12.000 abitanti (per quei tempi veramente notevole); dopo la prima scossa del 9 gennaio ne perde 200, e dopo quella catastrofica dell’11 sotto le rovine ne periranno altri 1.000 circa, per cui ne resteranno in vita 10.800.  
 
Giuseppe Lanza, Duca di Camastra
Il Cozzo Marotta, altopiano ad est di Noto, con sottostante fascia
di grotte e pendio: conformazione molto simile a quella
del Colle delli Meti, sul quale venne fondata la nuova città
    Il 10 maggio il Commissario Don Giuseppe Lanza, Duca di Camastra, costringe gli sventurati netini senza più patria a lasciare la città distrutta e a scendere dalla trazzera del Durbo fino alla Fiumara e al nuovo sito delle Meti, che era un altopiano molto simile al Cozzo Marotta, dietro la statua di S. Corrado, con una sottostante serie di grotte e un ripido pendìo.    
    Qui fra tanti stenti la vita lentamente riprende, ma forse a causa dell’acqua infetta dell’Asinaro si verifica quasi subito, aumentando nei mesi estivi, una grave pestilenza che causa una più pesante mortalità e una forte emigrazione: alla fine dell’estate i Netini sono ridotti a poco più di 4.000, ma è grande la loro tenacia di sopravvivenza e di ricostruzione, e dalla Pianta redatta 6 anni dopo, nel 1699, dall’ing. Formenti, incaricato dal Viceré, vediamo che il nuovo centro è piccolo e incompleto (manca la parte ovest del Pianazzo) ma è già delineato in quello che sarà il suo centro storico.
 
Pianta della nuova piccola Noto del 1699,
redatta dall’ing. Giuseppe Formenti
    Così, nel 1712,  vent’anni dopo il terremoto, la popolazione è in notevole crescita, raggiungendo (testimone il Tortora) circa 6.600 unità, e la nuova città, che all’inizio era fatta di baracche di legno, poi di casupole di pietre e gesso (di cui ancora esistono, nei vicoli del quartiere di S. Pietro Martire, diverse residue tracce), è arrivata ad una prima fase di ricostruzione in buona muratura.
    Ma già 15 anni dopo, nel 1727, un altro autore, il nobile Ottavio Nicolaci, con grande compiacimento, la può invece descrivere in termini lusinghieri:
    Dopo tanti funesti eventi tornò di bel nuovo a rifiorire la popolazione, ritornati essendo quei suoi concittadini, che sparsi erano in varie terre e villaggi (…) e i cittadini pensarono a fabriche suntuose, palaggi e chiese ben ornate (…) le quali (…) han fatto risorgere il perduto splendore, ritrovandosi al presente ornatissima di superbi edificii che possono gareggiare coi principali del Regno.
    Ed ancora: Le sue strade, con perfetta direzione, si dipartono da levante a ponente, e da tramontana a mezzogiorno. Le fabriche sono d’una perfetta architettura. Appaiono maestosissime per la pietra bianca e delicata.
    Sappiamo quindi che la ricostruzione della città ebbe due fasi prima di quella monumentale, ma nulla sapremmo di come essa appariva alla metà del Settecento se nel 1967  non fosse stato rinvenuto e pubblicato da mons. Salvatore Guastella, nel periodico Vita Diocesana un documento di enorme importanza, una Pianta disegnata dall’architetto Paolo Labisi, che mostra l’enorme sviluppo edilizio raggiunto in meno di 60 anni.
La Noto di metà Settecento, nella Pianta redatta dall’arch. Paolo Labisi
(con linee rosse e diciture in bianco, apposte per questo articolo,
un’ipotesi di individuazione dei 5 quartieri, facenti capo alle Parrocchie)
     Allo stesso modo, nulla sapremmo della popolazione in quel periodo, del suo assetto sociale, della sua possidenza, della tipologia di case e palazzi, se non avessimo i  preziosi dati desunti dai due Riveli (cioè i censimenti di anime e beni) del 1714 e del 1748.
     Grazie ad essi sappiamo anzitutto che la popolazione che nel 1712 era di 6.600 dopo appena due anni era già di 7.100 e 34 anni dopo, appunto nel 1748, era passata a 11.025, recuperando quasi del tutto le perdite.
     Utilizzando insieme i disegni della Pianta Labisi e i dati desunti dal Rivelo del 1748 possiamo individuare facilmente i 5 quartieri della città, che prendevano nome dalla parrocchia a cui ciascuno faceva capo. In tutto il Pianazzo c’era solo quello del SS. Crocifisso, sotto di esso, nel pendìo, quello centrale della Chiesa Madre, e ancora più in basso quello della Rotonda; a sinistra quello di S. Michele, a destra quello dello Spirito Santo.
     Come si può notare, sostanzialmente i monumenti del centro sono ormai quelli attuali,  ma a fine secolo e nell’Ottocento ci saranno poi varie importanti modifiche: ad es. la Chiesa Madre è ancora senza le torrette laterali e senza la scalea (che è del 1832-33), mentre si nota una stranezza: la Casa Senatoria appare a due piani, forse perché si pensava in quel momento di sopraelevarla subito, ma sappiamo che in realtà ciò avverrà solo 2 secoli dopo, nel 1948-49.
     Conosciamo poi qual era la densità abitativa dei singoli quartieri: il più abitato era quello della Chiesa Madre con 617 immobili, seguito da quelli del SS. Crocifisso con 597, di S. Michele (432), della Rotonda (193) e infine quello dello Spirito Santo (144).
     Non meno interessante è la composizione dei fuochi (i nuclei familiari): il 10,46% degli abitanti vive da solo; la maggioranza delle famiglie (il 55,23%) conta da 2 a 4 persone, seguono quelle con 5-7 (27,77%), mentre poche, solo il 5,89%, sono quelle che hanno da 8 a 10 componenti, e lo 0,65% quelle con oltre 10.
     Abbastanza diversificata è pure la popolazione dei Conventi e dei Monasteri. Fra le Case maschili primeggiano i Gesuiti, con 36 unità; gli Osservanti Riformati, 26; i Carmelitani della Scala, 26; i Cappuccini, 17. Fra quelle femminili il SS. Salvatore, che conta 35 monache, S. Chiara ne ha 22, S. Agata 21, la Badia Nova (SS. Annunziata), 20.
     I dati più interessanti, sono quelli che riguardano la situazione edilizia, perché dimostrano, nel confronto con quelli del 1714, l’enorme progresso raggiunto dalla nuova città verso la metà del secolo. Gli edifici più vasti e di migliore qualità (i tenimenti di case, solerate o palazzate) da 13 sono passati a 140; le case terrane di vario tipo da 1.402 a 1.900 circa: le botteghe da 26 a 77; i trappeti da 1 a 4; i fondaci (locande con albergo e stalla) da 1 a 2.
     Fra i nomi dei 2.830 rivelanti abbiamo avuto il piacere di trovare quelli di 3 personaggi illustri e ben noti a tutti: Rosario Gagliardi, che con famiglia di 5 anime abita in un tenimento di 10 stanze accanto alla chiesa di S. Maria dell’Arco; suo vicino di casa è il pittore Costantino Carasi, che con 4 anime ha una casa di sole 4 stanze, ma possiede anche un vasto terreno in contrada Sarculla; un altro grande, Vincenzo Sinatra, ha 8 anime e abita in un tenimento di 10 stanze al Pianazzo, vicino al Castieddu. Non abbiamo trovato il nome del terzo illustre architetto del Settecento, Paolo Labisi, perché era ancora un giovane scapolo, senza immobili propri.

     Concludiamo questa carrellata passando in rassegna i nomi dei netini più ricchi:
     Nobili – Pietro Landolina, barone di Belludia; Simone Rau, marchese della Ferla; Giacomo Nicolaci, barone di Bonfalà; Giovanni Impellizzeri, barone di S Giacomo; Gaspare Trigona, marchese di Cannicarao; Gaetano Deodato, barone del Burgio; Giuseppe Maria Di Lorenzo, barone di S. Lorenzo; e quelli venuti da altri centri, Rodrigo Zapata y Cardenas, marchese di Santo Floro, e i baroni Mario Battaglia, Giovanni Paredes e Antonino Cuella.
     Il nobile più ricco fra tutti è D. Rodrigo Zapata (capitale di 33.480 onze) ma il proprietario del Palazzo più vasto è Giacomo Nicolaci, che dichiara una consistenza di ben 48 stanze.
     Borghesi – Il più facoltoso è di gran lunga Antonino Bonfanti, seguito da Ignazio Bongiorno, Diega Pintaldo, Nicolò Astuto.
     Enti religiosi – Fra le parrocchie le più ricche sono quelle della Chiesa Madre e del SS. Crocifisso. Fra i Conventi maschili primeggiano per capitali e rendite il Collegio dei Gesuiti, S. Domenico, S. Maria dell’Arco e il Carmine. Fra i Monasteri femminili godono di rendite enormi il SS. Salvatore, S. Chiara e S. Agata.
  
    Dal complesso di tutte queste notizie appare chiaro che la nuova Noto di metà Settecento ha ormai superato il trauma dell’enorme disastro del 1693, riuscendo a realizzare quello che lo storico prof. Giarrizzo definì “il miracolo della resurrezione di Noto”.
     Ma la città è ancora incompleta.
     La completeranno le opere di fine secolo e dell’800: la facciata della Chiesa Madre (1770), la sua magnifica scalea (1832-33), l’abbassamento e sistemazione del Cassero (1838-39), le due esedre e i monumenti di epoca borbonica (Porta Reale, Teatro e Villetta Ercole), consegnando a noi e alle future generazioni quel giardino di pietra che oggi tutto il mondo ci ammira ed invidia.
Valentina Balsamo




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