Breve storia dell'antica Noto - I.S.V.N.A. - dal 1970 al servizio della cultura netina

Istituto per lo Studio e la Valorizzazione di Noto e delle sue Antichità
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Breve storia dell'antica Noto

    Secondo la tradizione Noto sarebbe stata fondata da popolazioni sicane, all'epoca della caduta di Troia, sul colle della Mendola (o Aguglia) a pochi chilometri dall'odierna Palazzolo.
    Nel V sec. a.C. Ducezio Re dei Siculi, in vista della guerra contro gli invasori greci, avrebbe trasferito questa antichissima Neai (che gli avrebbe dato i natali) nell'altipiano dell'Alveria, una singolare formazione montagnosa a forma di cuore, circondata da profondi crepacci che la rendevano imprendibile, fuorché per uno stretto istmo che venne fortificato.
    Recenti studi tenderebbero ad escludere la cittadinanza netina di Ducezio e quindi il trasferimento di Noto. È comunque accertato che il Monte Alveria era abitato fin da epoca preistorica e che successivamente fu sede di diverse comunità sicule a partire dal IX sec. a.C.
    Più precise testimonianze abbiamo sull'epoca ellenistica. Il ginnasio, gli heroa, le vaste necropoli a fossa, i templi e i teatri di cui si ha notizia, indicano l'alta considerazione di cui la città sicula godette da parte dei conquistatori greci, dei quali assimilò culto e costumi.
    Nel 263 a.C. Neaiton (latinizzata in Neetum, Netum) viene assegnata da Roma a Ierone II tiranno di Siracusa, ma gode, forse in considerazione dell'origine latina dei siculi, di una certa autonomia che più tardi (pare al tempo della seconda guerra punica) si concreta in un patto federativo con Roma, che la equipara alle due altre città federate della Sicilia, Messina e Taormina. I Netini tengono sempre in gran conto la loro posizione di alleati dei Romani e nel '70 a.C., come riferisce Cicerone, figurano tra i più fieri accusatori nel processo celebrato contro il propretore Caio Verre che aveva preteso indebitamente da loro il pagamento della decuma. Anche in epoca imperiale continua il favore di Roma che dichiara Noto municipium latino, esentandola dal pagamento dello stipendium.
    Dell'età romana sopravvivono scarsissime testimonianze (cippi funerari), mentre il buio più completo copre il periodo tardo-antico e l'Alto Medioevo fino al IX sec. Non mancano tuttavia, sparsi sull'Alveria, diversi quartieri rupestri, probabilmente bizantini, un ipogeo cristiano di discrete proporzioni (Grotta delle 100 bocche) e una catacomba ebraica (Grotta del Carciofo).
    È solo con l'epoca araba che si chiude il lungo vuoto storico. Noto si arrende nell'864 agli assedianti comandati da Cafagh Ibn Sofian, riesce a scrollarsi il giogo, ma due anni dopo ricade definitivamente in mani saracene.
    Gli Arabi ne fanno una roccaforte munitissima e nel 903 il loro Parlamento Generale, riordinando l'assetto amministrativo della Sicilia, divide l'isola in tre Valli, preponendo Noto ad una di esse. In quell'epoca la città inizia la propria rinascita: abbastanza tolleranti in fatto di religione, gli invasori danno un impulso grandioso all'agricoltura e ai commerci, impiantano vasti agrumeti, introducono l'industria della seta.
    Dopo oltre due secoli di dominazione musulmana Noto, ultimo fra i castelli della Sicilia, tratta la resa con Ruggero il Normanno (1091) che la assegna al figlio Giordano col titolo di Duca. Egli intraprende la ricostruzione del poderoso castello sull'Istmo e la fondazione di varie chiese al fine di favorire il rifiorire del Cristianesimo. Più tardi il geografo arabo Edrisi, vissuto alla corte di Ruggero II, accenna con ammirazione alla bellezza ed opulenza della città e alla sua importanza strategica.
    Sotto Guglielmo il Malo, morto il Duca Giordano, Noto è infeudata al conte Goffredo di Montescaglioso, ma in seguito gli è confiscata. Agli inizi del XIII sec. è governata dal conte Isimbardo Morengia, che nel 1212 fonda il monastero cistercense di S. Maria dell'Arco, con una dote di quattro feudi.
    Nulla sappiamo sull'infausto periodo angioino; un'insicura tradizione vuole che Noto abbia seguito l'esempio di altre città siciliane, trucidando il presidio francese di Faramondo d'Artois (2 aprile 1282).
    Passato il dominio dell'isola agli Aragonesi, Noto è governata da Guglielmo Calcerando, Vicario del Re Pietro I. inizia col XIV sec. un periodo contrassegnato da continue lotte civili fra partigiani degli aragonesi e degli angioini, che invano tentano la riconquista dell'isola.
    Malgrado il tradimento del castellano Ugolino Callari che la consegna a Roberto d'Artois (1300), la città si mantiene fedele agli aragonesi. Consolidatasi la nuova dinastia Noto non tarda a ricevere ricompense e onori. Nel 1335 riceve la visita di Federico II, nel 1341 ottiene l'approvazione della codificazione delle proprie Consuetudini (che pertanto acquistano forza di legge), nel 1353 accoglie festante anche il giovane re Ludovico, che le concede privilegi e immunità.
    Frattanto, verso il 1330, era venuto a Noto il nobile piacentino Corrado Confalonieri che a seguito di una disavventura di caccia si era dato a vita eremitica. In seguito egli si era ritirato nella solitudine di una grotta, in una valle a qualche chilometro dalla città, morendovi nel 1351 in fama di santità; egli sarebbe diventato il Santo Patrono di Noto.
    Per tutto il Trecento continuano le lotte intestine fra gli Alagona e i Landolina, filoaragonesi, e i Chiaramonte, filofrancesi. Solo con l'avvento dei Martini, che cercano di restaurare il prestigio della monarchia, e specialmente con Alfonso il Magnanimo, la città conosce periodi di relativa tranquillità. In quegli anni anzi esprime un Viceré nella persona di Nicolò Speciale, personaggio di primo piano nella scena politica siciliana.
    Anche nel campo economico Noto attraversa un periodo di floridezza, favorita da tutta una serie di privilegi e di esenzioni da dazi e gabelle. Alfonso però, revocando il privilegio di perpetua demanialità concesso da Martino il Giovane, dona la città al fratello Pietro col titolo di Duca. I Netini non sopportano la soggezione ad un signore e insorgono in difesa della loro libertà. Poi si giunge ad un onorevole compromesso: nella signoria della città dovranno succedersi solo i discendenti maschi del Duca Pietro. Ma quest'ultimo muore dopo pochi anni senza figli e la città torna definitivamente al regio demanio.
    In questo periodo i Netini tentano di ottenere l'istituzione della Diocesi, ma gli intrighi del vescovo di Siracusa riescono a fare archiviare la pratica.
    Per tutto il Quattrocento Noto conosce tempi di prosperità e splendore. I sovrani le accordano numerosi privilegi politici e mercantili; nel 1503 Ferdinando il Cattolico la insignisce del titolo di Civitas Ingeniosa in riconoscimento degli elevati ingegni che in ogni campo aveva prodotto. Invece il Cinquecento, pur portando Noto a più alti livelli di prestigio, specie nel campo culturale e politico, non è in complesso molto felice. Le carestie e le pestilenze (specie quella terribile del 1522), le feroci lotte fra le fazioni di nobili, il pericolo delle scorrerie barbaresche rappresentano fattori negativi che incidono sullo sviluppo della città, che pure si dedica ad importanti opere di abbellimento del suo volto e vede confermata la propria importanza strategica con il potenziamento delle difese militari ordinato dal Viceré Gonzaga (1542).
    Nel XVII secolo si assiste ad un lento decadimento della città che accentua la sua caratteristica feudale e monastica. Il suo immenso territorio agricolo, ricco di 80 feudi, non produce più le risorse di un tempo. Ancora fiorenti sono invece le varie categorie artigiane che operano lungo la valle dell'Asinaro, nel versante occidentale dell'Alveria. Abbastanza ricca l'aristocrazia che però non riesce più ad esprimere una classe politica vigile ed esperta, come era stato un tempo. Dal punto di vista militare Noto è ancora un castello importantissimo e durante la guerra franco-spagnola ospita un forte contingente i truppe (1675). Pochissime le personalità di spicco nel campo culturale, mentre sorge un'Accademia dei Trasformati, con indirizzo filosofico-teologico, che è un po' il simbolo della generale decadenza di un'epoca.
    L'11 gennaio 1693 la città è rasa quasi completamente al suolo da uno spaventoso terremoto. Le perdite umane sono relativamente esigue, ma la ricostruzione sull'Alveria appare impossibile. Prevale perciò fra i cittadini l'idea di spostare la città verso sud-est, sul colle Meti, a 6 km dalla costa.
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