Breve storia della nuova Noto


Per ben dieci anni i Netini sono divisi da accesi contrasti, in quanto numerosi sono coloro che vorrebbero ricostruire sul vecchio sito. Nel 1702 il Viceré Cardinale Giudice decide d'autorità di proseguire la già intrapresa riedificazione sul colle Meti.
Inizia così una meravigliosa fioritura architettonica che vede impegnate nell'opera di ricostruzione tre generazioni di architetti e capimastri locali; pur rimanendo sostanzialmente fedeli ai canoni barocchi, essi creano uno stile tutto particolare, che utilizza elementi e schemi rinascimentali, spagnoleschi, neoclassici, fusi ed armonizzati da una concezione scenografica che, respingendo le estrose degenerazioni manieristiche, conferisce alla città una sua inconfondibile peculiarità.
Verso la fine del Settecento il piano urbanistico è pressoché definito; riprende anche, fra tanti stenti, la vita d'ogni giorno. La nuova dinastia borbonica, salita sul trono di Sicilia e Napoli, contribuisce alla rinascita economica della città con concessioni e privilegi che si aggiungono a tutti quelli dei secoli precedenti, riconfermati in blocco agli inizi del secolo, per sottolineare l'identità municipale fra l'antica e la nuova città. Particolarmente importante l'istituzione da parte di Carlo III di un Consolato del Commercio (1748), con giurisdizione su ben 13 comuni del Valle.
Rifioriscono pure le mai spente tradizioni culturali; torna a riunirsi l'Accademia dei Trasformati mentre un nobile di elevato ingegno e grande erudizione, il barone Antonino Astuto, mette su un famoso Museo privato, vanto della città e meta di numerosi studiosi anche stranieri. Con la ripresa della vita economica e culturale rinasce anche l'antica ambizione del Vescovado, ma nemmeno questa volta i Netini riescono a spuntarla (1778); dieci anni dopo ottengono invece da Ferdinando I il riconoscimenti del titolo ed onori di Senato per il Magistrato urbano. Più tardi (1813) ottengono anche il Distretto militare, con il presidio di una Compagnia.
Alcuni anni dopo l'orgoglio municipale della città subisce un fiero colpo: le originarie tre Valli in cui gli Arabi avevano diviso la Sicilia vengono elevate a sette e per le pressioni della duchessa di Floridia, seconda moglie di Ferdinando, Noto viene spogliata in favore di Siracusa del suo diritto (che datava da nove secoli), rimanendo declassata a Sottointendenza (1817).
Nel 1837, però, a seguito di tumulti verificatisi a Siracusa, culminati con gravissimi eccessi del popolino, abilmente sobillato per fini politici da chi voleva sfruttare un'epidemia di colera, Ferdinando II ordina il trasferimento del Capovalle a Noto. Da allora è costante la benevolenza dei Borboni per la città, malgrado il breve moto liberale del 1848. Fra il 1838 e il 1847 la coppia reale vi si reca in visita per ben quattro volte, ospite dei Marchesi Landolina di S. Alfano.
Nel 1844, finalmente, Noto è eretta a Vescovado e raggiunge così il periodo di suo maggior prestigio dei tempi moderni. Si va affermando, fra gli strati più progressisti della borghesia, un movimento liberale abbastanza attivo, alimentato da fiorenti logge massoniche. I liberali netini seguono con attenzione gli eventi che in quegli anni maturano nel continente e non appena hanno notizia dello sbarco garibaldino a Marsala insorgono, per primi in Sicilia, contro il presidio borbonico che è costretto ad arrendersi (16 maggio 1860). Pochi giorni dopo numerosi picciotti corrono ad arruolarsi nelle file del Battaglione Bersaglieri del Faro, arruolato dal generale Nicolò Fabrizi per la totale liberazione dell'isola.
Ma queste benemerenze liberali, apprezzate dallo stesso Garibaldi, che con un nobile messaggio al Comitato municipale accetta la cittadinanza onoraria di Noto, vengono considerate tardive ed opportunistiche dai Siracusani, i quali nel 1865, facendo leva sui favori di cui Noto aveva goduto da parte della decaduta dinastia, ottengono dal Parlamento nazionale di Firenze il definitivo trasferimento del Capoluogo a Siracusa. Noto rimane, ma solo per pochi decenni, Sottoprefettura; perde anche i tribunali e gli uffici finanziari.
Inizia una lenta decadenza alla quale invano si cerca di trovare rimedio. Dopo la Grande Guerra (1915-18) cui Noto dà il suo contributo con oltre trecento Caduti, si ha una parentesi di ripresa: si sviluppano le contrade marine e montane di villeggiatura, si tengono numerose stagioni liriche estive che vedono sul podio maestri come Mascagni e Cilea, mentre un giornalista netino, Ugo Lago, sacrifica la sua giovane vita sul Polo Nord, partecipando alla prestigiosa quanto sfortunata impresa del gen. Nobile (1928).
I bombardamenti della II Guerra Mondiale risparmiano Noto che si gloria delle Medaglie d'Oro alla memoria di due suoi figli. La città è priva di industrie e di risorse; le sue campagne si spopolano e la piaga dell'emigrazione la dissangua delle migliori energie materiali e intellettuali.
Solo alla fine degli anni '70 si afferma la convinzione che l'unico possibile sviluppo di Noto è quello turistico, per cui negli anni successivi tutte le energie vengono dedicate alla valorizzazione del patrimonio artistico, archeologico e paesaggistico della città: questa politica culturale sta dando frutti sempre più rilevanti in termini di ricettività e di presenze, ed altri più cospicui ne darà nel prossimo futuro, man mano che saranno attuati tutti i progetti in corso.
Ben meritato quindi il riconoscimento dell'UNESCO, che nel 2002 ha dichiarato Noto Patrimonio dell'Umanità.




  Aggiornato il 11 giu 2010 segreteria@isvna.it